lunedì 26 ottobre 2009

Introduzione alla VII Settimana Sociale Diocesana - 12/14/16 Ottobre 2009

di Stefano Franzin
Sono passati 55 anni dalla morte di Alcide De Gasperi, per noi un testimone coerente e coraggioso dell’impegno cristiano in politica; un impegno iscritto in quel percorso sociale e culturale orientato dal magistero sociale della Chiesa che ha costituito un contributo fondamentale alla costruzione ed al consolidamento delle istituzioni democratiche ed allo sviluppo del nostro Paese, l’Italia.

Lo ricordiamo convinti che c’è ancora un legame vivo, che non ci fa scadere nella celebrazione nostalgica di una stagione in cui, ancora, era presente un cattolicesimo sociale e politico fecondo; è un filo che oggi sembra sottilissimo, quasi dissolto, si tratta dell’impegno concreto, appassionato, umile e responsabile per l’uomo e per la comunità.

“Il dovere di consolidare nella coscienza e nel costume delle popolazioni libere, oneste e consapevoli scelte democratiche”: possiamo fare risuonare nelle nostre coscienze queste parole di De Gasperi, cogliendo la vocazione a cui molti sono stati chiamati nel passato e pensiamo possano esserlo ancora oggi. Una chiamata alla responsabilità e alla lucida consapevolezza che servire una popolazione significa anche aiutarla a superare le proprie tendenze egoistiche e le ingiuste disuguaglianze, facendo prevalere le ragioni della solidarietà.

Un’agenda di speranza per il futuro, economia, politica, lavoro e presenza dei cristiani, è un titolo impegnativo per un momento storico altrettanto impegnativo. La settimana sociale porta questa intestazione perché, inserendoci nel filone proposto a livello nazionale, vorremmo riflettere su ciò che non ha funzionato e non funziona in ambiti fondamentali della nostra società, e confrontarci su ciò che possiamo fare per far ripartire lo sviluppo, non solo dell’economia, ma della società intera. Tutto questo secondo il metodo del “vedere giudicare agire” e condividendo le priorità, come elementi in grado di comporre un’agenda.

Il lavoro di preparazione di questa Settimana Sociale è stato di conseguenza difficile, non tanto per motivi organizzativi, ma per la complessità dei contenuti possibili e per il momento che stiamo vivendo. Sono diverse le questioni che suscitano preoccupazione, sia in riferimento a problemi spesso antichi che la crisi ha contribuito a svelare ulteriormente, sia rispetto allo stallo in cui versano le istituzioni e la politica, reso sempre più drammatico da un livello di conflittualità che ha perso di vista la ragione e la dimensione dei problemi concreti.

A tal proposito permettetemi di dire, però, che se è vero che tale momento di crisi che stiamo vivendo non è semplicemente economica, ma valoriale, etica, allora dobbiamo attrezzarci per decisi cambiamenti di rotta, dobbiamo convertirci a un nuovo modo di interpretare gli ambiti di azione sociale, istituzionale ed economica. Questo nuovo modo, per noi ispirato al magistero sociale della chiesa, si declina innanzitutto ricostituendo un piano etico e culturale il più condiviso possibile a partire dal quale tracciare piste di lavoro nuove.

Il magistero stesso respinge gli ambiti sociali e politici come ambiti privilegiati dell’impegno dei laici. Qui non dobbiamo ancora soffermarci oltre sull’opportunità o meno che la comunità religiosa, e quindi la propria Chiesa, si possa esprimere quale soggetto di cultura sociale e politica, dobbiamo domandarci piuttosto quanto oggi i laici riescano consapevolmente a prendersi, seriamente, la responsabilità di esercitare la propria vocazione sociale e politica ispirata dalla fede cristiana. Ciò non richiamandosi genericamente ai valori cristiani, o dichiarandosene interpreti privilegiati, ma esercitando tale vocazione con i fatti perché “è da questo che vi riconosceranno”.

D’altro canto, anche facendo tesoro delle sollecitazioni dei nostri pastori, i laici dovrebbero animare maggiormente nelle diverse forme e opportunità quel cattolicesimo sociale e politico che rischia di soffocare definitivamente stretto tra un mal interpretato interventismo ecclesiastico e le pressioni di un relativismo etico che cerca in ogni modo di ricacciare nel privato l’esercizio e la promozione di quei valori cristiani che sono fondamentalmente umani.

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