venerdì 17 luglio 2009

Fidatevi di quello che vedete con il cuore.


Un noto sociologo, profondo conoscitore del nord est, recentemente esortava a fidarsi di quello che si vede, cioè di non fermarsi ai “si dice”, soprattutto quelli mediatici, ma a valutare con i nostri occhi ciò che accade. In questo senso vedere non è semplice, occorre una coscienza limpida ed una capacità allenata a scrutare l’orizzonte, a leggere le cose che ci accadono con sguardo profondo.
In tal caso diventa semplice vedere che, come al solito, la crisi la pagano i più deboli, quelli che in genere pagano sempre, aumentando le distanze tra chi sta sempre meglio e chi no. Vediamo poi che ci sono molti immigrati, ma quei pochi clandestini presenti qui sono quasi esclusivamente badanti; mentre vediamo che di reati veri da noi se ne fanno pochissimi. È ancora evidente che il livello di benessere materiale raggiunto è elevato; tuttavia arranchiamo sul fronte educativo per mancanza di progetti e di risorse, un disinteresse verso i giovani e le famiglie che stiamo già pagando. Insomma si fatica a scorgere veri segnali di cambiamento. Vediamo invece che a coltivare il senso di insicurezza si guadagna consenso, mentre se si prospetta una società più a misura d’uomo, eticamente orientata, si è immediatamente tacciati di buonismo. Tuttavia la politica vera è coinvolgere le persone e le comunità per il bene comune, di tutti e di ognuno, non di alcuni a scapito di altri. Troppo semplice rappresentare le istanze della gente senza prospettare vie d’uscita sostenibili.
Per affrontare una crisi che non è solo economica, è sicuramente possibile lavorare su più fronti, ma serve stabilire al più presto da che parte cominciare. Ecco alcune proposte per titoli. Abbandoniamo il paradigma del cittadino consumatore, per riprenderci quello di cittadino “costruttore”, di relazioni, di novità, di valore ecc. È questa la vera emergenza educativa. Serve per questo un grande sforzo culturale. Assumiamo la consapevolezza del limite. Fissiamolo, potremmo così riacquistare un po’ di serenità, rallentare la frenetica ricerca di più alti guadagni, promuovere una più giusta ripartizione dei compensi tra il più alto dei dirigenti e l’ultimo degli operai, recuperare tempo utile alla crescita culturale ed alla cura famigliare. Rimettiamo al centro il senso del lavoro. Un senso che abbiamo perso illudendoci che bastasse la fama di grandi lavoratori a sostenere in sé il valore del lavoro. Ed insieme va riscoperto il senso di solidarietà tra lavoratori, con la consapevolezza che “il tempo delle scelte difficili” non può giustificare l’esclusione di nessuno dalla possibilità di un lavoro dignitoso.
Oggi ci è quindi richiesto un impegno a costruire una nuova prospettiva personale e comunitaria; ripristinando la sensibilità a guardare alla verità delle cose con gli occhi del cuore che si fa carico delle persone e delle comunità. Caritas in veritate, appunto; non è buonismo, ma un progetto di speranza per il futuro.

Stefano Franzin
Commissione Pastorale Sociale
Diocesi di Concordia-Pordenone