giovedì 10 settembre 2009

Dodici domande al sindaco Bolzonello sulla situazione socio-economica di Pordenone

1 – Secondo Lei, quali insegnamenti trarre dall’attuale crisi economica?

E’ necessario innanzitutto ricordare che questa è molto di più di una crisi economica e che dietro questa crisi non ci sono solo persone che hanno perso il posto di lavoro, ma famiglie con difficoltà economiche grazie ai loro stili di vita, figli in difficoltà rispetto a quanto sta accadendo alle loro famiglie, ceti deboli ulteriormente indeboliti anche dal punto di vista della loro capacità di incidere sulle scelte future della società in cui vivono.
L’insegnamento che se ne può trarre è che un modello di sviluppo e una cultura sottostante come quelle che abbiamo avuto più o meno dagli anni ’80 in poi, ha mostrato tutti i suoi limiti e che un sistema fondato più sulle operazioni finanziarie, più o meno spregiudicate, piuttosto che sulla economia reale, era destinato prima o poi a implodere se non supportato da stili di vita consoni alla tenuta della coesione sociale.
Se anche i sistemi più liberisti, di fronte alla crisi, hanno dovuto ricorrere all’intervento dello Stato, significa che i mercati vanno corretti e controllati e che è urgente l’introduzione di regole ispirate all’etica.


2 – Come giudica oggi la difficoltà nelle persone di riconoscere il senso di appartenere ad una comunità e di agire oltre il proprio interesse?

La cultura di cui parlavamo prima, fondata sull’arricchimento personale, sul successo, sull’avere più che sull’essere, ha oscurato concetti base come il senso di appartenenza alla comunità, l’altruismo, il perseguimento di interessi generali.
Il senso di appartenenza non viene, da parte di molti, riferito alla comunità, ma al proprio gruppo politico e sociale, all’etnia, all’identità.
Si capisce quindi molto bene la difficoltà di quanti interpretano e declinano il concetto di comunità e non trovano le condizioni attualmente più adatte per esprimerle compiutamente.


3 – Dal Suo particolare punto di osservazione, come la crisi sta influendo sui rapporti di solidarietà sociale nei confronti dei più deboli?

In presenza della crisi, non c’è stata una risposta univoca nei confronti dei più deboli. I rapporti di solidarietà sociale si sono rafforzati e intensificati, producendo lodevoli e generose iniziative, da parte di coloro che credono e praticano questo principio, mentre ci sono vasti strati di popolazione che ritengono che i problemi degli altri non li debbano riguardare. Dirò di più: proprio perché, come ho già detto in apertura, non c’è un modello di sviluppo sostenibile abbinato a stili di vita consoni a far sì che nessuno “rimanga indietro”, l’egoismo di molti prevale sull’altruismo di pochi.


4 – Esiste ancora il cittadino che costruisce relazioni, che agisce secondo dei valori per il bene comune?

Certo che esiste ancora, se non esistesse significa che siamo precipitati in un baratro da cui non si può risalire. I valori fondati sul bene comune possono essere più o meno forti e radicati, a seconda di epoche e periodi storici particolari, ma sono eterni e universali. Il problema è come far sì che questi esempi che sono sì minoranza, ma non così esigua, vengano non solo imitati “una tantum”, ma diventino parte del nostro vivere quotidiano di comunità. In tal senso è evidente che chi ricopre cariche pubbliche o ruoli guida nella società civile non può non avere comportamenti eticamente ineccepibili.


5 – Come ritrovare il senso del limite in relazione all’accumulo senza beneficio della società?

Questa è sicuramente la parte più difficile di un’eventuale operazione di ricucitura dei grandi squilibri sociali esistenti, perché implica la necessità di un nuovo patto generazionale e “interclassista” basato su di un nuovo modello di sviluppo della comunità non solo locale, ma globale.
Certo, se da qualche parte non si inizia non avremo mai la possibilità di una concreta applicazione di questa esigenza sentita da molti. E’ per questo che io ritengo che vi siano gli spazi necessari perché il mondo cattolico ed il mondo laico che si rifà a quei valori etici che pongono l’attenzione alla persona al centro della propria azione abbiano molto da dire e “da fare” in tal senso.


6 – Quale posto hanno le fragilità, le vulnerabilità sociali nella nostra comunità?

In questi anni gli enti pubblici, cooperative sociali e gruppi di volontariato, hanno creato una rete diffusa di protezione e di sostegno nei confronti delle classi più deboli, delle situazioni di disagio e di emarginazione. C’è quindi non solo spazio nei confronti di casi di vulnerabilità e di fragilità, ma anche risposte sufficientemente adeguate.
La sfida, in questi momenti di calo delle risorse, è mantenere e, se possibile, incrementare e non depotenziare o addirittura smantellare quanto si è costruito.


7 – Si può ancora parlare di cultura dell’accoglienza, nel nostro territorio, che vanta di fatto un ottimo livello di convivenza con gli stranieri, mentre si esprimono sempre più opinioni contrarie?

Tutte le classifiche relative all’accoglienza e all’integrazione pongono stabilmente Pordenone ai primi posti in Italia. La capacità di offrire posti di lavoro, assistenza sanitaria, abitazioni e scuole, che sono gli indici su cui ci si basa per queste graduatorie, è ancora elevata, per cui si può ancora parlare, per il nostro territorio, di cultura dell’accoglienza.
Il fatto che esistano non solo opinioni, ma anche posizioni politiche contrarie non deve comunque farci deflettere da un impegno amministrativo, ma soprattutto di comunità, che riteniamo corretto e adeguato alla complessità delle problematiche inerenti l’accoglienza agli stranieri. E’ evidente che giorno dopo giorno “l’asticella si alza” ed è sempre più difficile contrastare parole scagliate come pietre sull’opinione pubblica da chi non vuole affrontare il problema nella sua interezza mondiale, ma solo attraverso concetti slogan che inducono a false semplici soluzioni assolutamente inapplicabili.
E’ quindi proprio in questi momenti che dobbiamo dire con forza che il problema dell’accoglienza è legato alle grandi scelte mondiali sul clima, sulla fame, sulla capacità di far cessare i grandi interessi nei paesi africani ed asiatici.

8 – Quali sono, secondo Lei, i valori dai quali partire oggi per recuperare speranza e fiducia nel futuro?


Come ho già detto, le speranze di un futuro migliore sono affidate a una rivoluzione che ponga l’uomo (tutti gli uomini) al centro di ogni azione.
L’uomo come fine è l’obiettivo a cui tendere e a cui uniformare i modelli di crescita e i comportamenti sociali. Non ci sono scorciatoie e non possiamo pensare di delegare questa straordinaria “rivoluzione” del nuovo secolo a singole parti della società, è infatti evidente che solo la capacità di trovare una sintesi al pensiero di molti (razze, religioni, corporazioni, ecc.) potrà far sì che si imbocchi quel percorso virtuoso che possa portarci ad avere speranza e fiducia nel futuro.


9 – A che punto siamo con la costruzione di una città aperta e abitabile per tutti?

In questi otto anni abbiamo cercato di operare in funzione della costruzione di una città aperta e abitabile per tutti.
Questa costruzione non ha una data d’inizio e una data di fine lavori poiché viviamo in una realtà in rapida trasformazione e ci sono continuamente nuove esigenze e nuovi bisogni a cui rispondere.
Non saprei dire, quindi, a che punto siamo, so per certo che stiamo lavorando alacremente in questa direzione coinvolgendo tutte le forze interessate a questo disegno, ricercando ogni possibile collaborazione e adoperando tutte le risorse, finanziarie e umane, che abbiamo a disposizione.
Una città aperta è una città informata e che comunica e in cui tutte le sue componenti dialogano tra di loro.
Abbiamo perciò cercato di favorire tutte le forme possibili di dialogo, lottando contro forme di pregiudizi e di passatismo, cercando di superare le barriere culturali, etniche e religiose.
Una città abitabile per tutti significa assicurare a tutti i cittadini un sufficiente livello di qualità della vita, significa un tessuto urbano omogeneo, senza sacche di degrado; significa qualificare e connettere le aree periferiche con le funzioni civili, sociali e culturali più importanti, assicurare verde pubblico e parchi in tutti i quartieri, abbattere le barriere architettoniche, rendere la città maggiormente fruibile per gli anziani e i bambini e tante altre cose soprattutto in campo culturale le cui iniziative hanno registrato una notevole partecipazione da parte di cittadini di ogni ceto.
Ogni giorno ci sono difficoltà a declinare quanto sopra detto, ma non per questo dobbiamo desistere o farci prendere da forme di scoramento: è solo la nostra determinazione che può determinare il cambiamento.

10 – Come promuovere la costruzione di una società, a partire dalla nostra comunità, nella quale la persona sia al centro della convivenza civile?

Nelle risposte alle domande precedenti penso di aver già dato sufficienti spunti, ribadisco quindi che la costruzione di una società che ponga la persona al centro della convivenza civile è un obiettivo che necessita del concorso e della collaborazione di tutti. Non solo la politica quindi, ma anche l’economia, la cultura, la scienza dovrebbero agire, non solo a parole, in funzione del raggiungimento di questo obiettivo.
Per quanto concerne l’Amministrazione comunale ritengo che si possano fare molte cose, a partire dal rapporto con i cittadini. I cittadini utenti devono essere informati in maniera semplice e chiara sugli atti amministrativi e devono avere un accesso agevole agli uffici con risposte rapide alle loro richieste.
Tutti i cittadini devono avere i medesimi diritti e pari opportunità e nessuno deve essere “lasciato indietro”.
La promozione della persona è quindi basata sulla estensione dei diritti, sulla qualità dei servizi erogati, sulla vivibilità della città, sulla coesione del tessuto sociale, sulla riduzione delle distanze economiche e sociali.


11 – Quali sono i settori economici sui quali puntare per andare oltre la crisi? (per gli imprenditori: come la Sua impresa sta affrontando questo momento di crisi? Guardando con fiducia al futuro, quali le previsioni sui tempi di ripresa? Ci sono prospettive per i più giovani?)

Per il territorio pordenonese vedo difficile, se non impossibile, pensare ad un’economia slegata dal manifatturiero, non credo ad un’economia locale che si sposta con forza sui servizi. Penso piuttosto che vada ripreso un ragionamento sul comparto agricolo, troppo velocemente accantonato nei decenni passati con scelte non certo lungimiranti. Per semplificare, vedo l’attuale composizione dei vari comparti economici non dissimile anche per il futuro, con però la necessità della “potatura di molti rami secchi” ed il recupero e rilancio dei comparti agricoli ed artigianali.
Sui tempi di ripresa non voglio dire alcunché, perché non intendo iscrivermi né al partito dei catastrofisti, né a quello degli ottimisti, e soprattutto, perché non sono un veggente.


12 – Quale senso rinnovato dare oggi al lavoro e quale motivazione recuperare sul piano della solidarietà tra lavoratori?

Se siamo coerenti con quanto detto in questa intervista è evidente che il lavoro e la solidarietà tra lavoratori e tra lavoratori e società, sono centrali rispetto alla figura umana e conseguentemente rispetto ad una visione di società il più possibile equa.

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